Verso il 3D... da toccare?

lunedì 18 aprile 2011



Avete presente la scena di Guerre Stellari in cui il robot C1P8 proietta l'ologramma della principessa Leila che pronuncia la celebre frase "Aiutaci Obi-Wan Kenobi, sei la nostra unica speranza"?  
Ebbene, presto potrebbe non essere più solo fantascienza. Un team di ricercatori giapponesi ha infatti realizzato il primo sistema per la proiezione di immagini olografiche a colori che al posto del laser, comunemente utilizzato in queste applicazioni, impiega una luce bianca convenzionale. 

Il 3D non è un'invenzione recente: i primi ologrammi risalgono agli anni '60. Venivano ottenuti sparando un raggio laser contro un oggetto e registrando su un materiale sensibile le interferenze tra le onde riflesse dall'oggetto e quelle provenienti dal laser. Per ricostruire l'immagine tridimensionale era sufficiente illuminare la lastra con un laser della stessa lunghezza d'onda. Il risultato era un 3D un po' approssimativo e monocromatico. 
Satoshi Kawata  e il suo staff hanno invece realizzato il primo ologramma tridimensionale e a colori. Gli scienziati i hanno utilizzato la vecchia tecnica degli schemi di interferenza, ma per illuminare l’oggetto hanno utilizzato tre diversi laser: uno rosso, uno verde e uno blu. Hanno registrato l’immagine olografica su una lastra sensibile alla quale hanno aggiunto uno strato di oro, un materiale che contiene molti elettroni liberi e facilmente eccitabili dalla luce.
Per visualizzare il loro ologramma hanno infine illuminato la lastra con una luce bianca convenzionale che contiene tutte le lunghezze d’onda, comprese quelle del rosso, del verde e del blu. La luce, eccitando gli elettroni liberi, provoca oscillazioni chiamate plasmoni di superficie, che rigenerano le immagini a tutto colore e a tutto tondo.   

Nei loro test i ricercatori giapponesi sono riuscuti a ricreare, per ora, le immagini statiche 3D di una mela (vedi la figura), di alcuni insetti e di un fiore. «È un risultato scientifico importante» ha dichiarato ai media il fisico Pierre-Alexandre Blanche dell’Univeristà di Tucson (Arizona), ma restano da risolvere un paio di problemi.
Il primo riguarda i costi: per sfruttare la scoperta dal punto di vista commerciale occorre trovare un sistema di ripresa un po’ più semplice. E poi le dimensioni: al momento gli scienziati giapponesi sono riusciti a creare ologrammi grandi come una carta di credito.

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