NIcole Minetti: eccola

venerdì 29 ottobre 2010
Igienista dentale del premier, eletta nel consiglio regionale della Lombardia, ex velina: ecco una foto molto recente.
Chissà se dispiace al Cav che è dell'Inter.....

L'effetto del ristagno economico

Samsung Galaxy S2: la scheda tecnica del mostro

giovedì 28 ottobre 2010
Samsung Galaxy S2 potrebbe essere lo smartphone ammazza-mercato, un cellulare intelligente dalla scheda tecnica cosmica con alcune caratteristiche che fanno davvero venire i brividi. Nell’immagine qui sopra vediamo una foto che lo rappresenta a grandi linee. La lista delle specifiche tecniche di Samsung Galaxy S2 è per certi versi esagerata, quindi si può credere verosimilmente che si sia un po’ esagerato in alcuni punti, tuttavia il secondo modello della premiata gamma Galaxy S potrebbe davvero stupire tutti nel 2011.

Samsung Galaxy S2 potrebbe essere lo smartphone ammazza-mercato, un cellulare intelligente dalla scheda tecnica cosmica con alcune caratteristiche che fanno davvero venire i brividi. Nell’immagine qui sopra vediamo una foto che lo rappresenta a grandi linee. La lista delle specifiche tecniche di Samsung Galaxy S2 è per certi versi esagerata, quindi si può credere verosimilmente che si sia un po’ esagerato in alcuni punti, tuttavia il secondo modello della premiata gamma Galaxy S potrebbe davvero stupire tutti nel 2011.
Dopo aver applaudito all’ottimo smartphone con sistema operativo Android Samsung Galaxy S che sta aggiornandosi alla versione 2.2 Froyo, ora è il turno di Samsung Galaxy S2 che potrebbe invece uscire con nativamente montata la versione 2.3 Gingerbread.

Il condizionale è d’obbligo per Samsung Galaxy S2 che monterà uno schermo touchscreen di grandi dimensioni, con una diagonale da 4.3 pollici di natura AMOLED ad alta qualità e bassi consumi e una risoluzione pazzesca da 1280 x 720 pixel a 340 dpi.

La scheda tecnica di Samsung Galaxy S2 prevede un processore da 2GHz con 1GB di Ram e 4GB di Rom, una memoria interna da 32GB espandibile via microSD, fotocamera da 8 Megapixel con videorecording full HD, Bluetooth 3.0, Wi-Fi 802.11 b/g/n, A-GPS con accelerometro, giroscopio e sensore di prossimità.
Che prezzo potrebbe avere un mostro così?

'Casa An, nessuna truffa': Procura chiede archiviazione

mercoledì 27 ottobre 2010
Né truffa, né frode, né inganno di sorta. La vendita dell'appartamento monegasco di Boulevard Princesse Charlotte alla società offshore Printemps, il caso politico-giudiziario dell'estate che ha messo Fini sulla graticola, per i magistrati della procura di Roma si è svolta in modo del tutto regolare e può essere definitivamente archiviata. Gianfranco Fini può tirare un sospiro di sollievo. Nella vicenda di casa An, la procura di Roma ha chiesto l'archiviazione per "l'insussistenza di azioni fraudolente" nella vendita dei sessanta metri quadrati nel principato di Monaco lasciati in eredità ad An. Passata ai raggi x la procedura di alienazione dell'appartamento, i magistrati non hanno trovato "nessun artifizio o raggiro".

E nemmeno il prezzo di vendita, 300mila euro (per i nemici di Fini, che sospettano un "imbroglio" si tratta di un prezzo ridicolo) ha smosso i magistrati, secondo i quali "'la doglianza sulla vendita a prezzo inferiore non compete al giudice penale ed e' eventualmente azionabile nella competente sede civile". Cala così il sipario sull'affaire della vendita dell'appartamento monegasco , scoperto dal Giornale e utilizzato per mettere in dubbio l'integrità morale del presidente della Camera.

Grande disfatta per la stampa berlusconiana, che in queste ore si sta comportando come quella stampa "SINISTRATA", tanto criticata nei mesi e giorni scorsi: "Gli italiani hanno diritto di sapere", dice il direttore editoriale de Il Giornale Vittorio Feltri. Duro il suo collega Maurizio Belpietro, direttore di Libero, che parla di una "cupola che impedisce agli italiani di essere informati".
Ribrezzo se poi si pensi alle parole di Minzolini: "Le inchieste del Giornale e Libero sulla vicenda di casa An sono molto più pure rispetto a quelle di altri giornali perché stimolano l'attività della magistratura. Quelle di Repubblica invece fungono solo da cinghia di trasmissione con le procure".

Maya, catastrofe nel 2012? No, rimandata al 2013

lunedì 25 ottobre 2010
IL CALENDARIO MAYA - Gli scienziati maya erano in grado di effettuare osservazioni dirette e dettagliate del cielo e le loro rilevazioni dei cicli dei vari pianeti erano registrate nei loro codici cartacei e nei geroglifici sulla pietra. Un computo realizzato sul calendario maya (il calendario è stato 'convertito' con il nostro, il gregoriano, con calcoli effettuati sulla cosiddetta 'costante GMT'), assieme ad un riferimento epigrafico sul Monumento 6 di Tortuguero è alla base del fenomeno che associa un evento di significativa discontinuità storica alla data summenzionata. In base a queste 'rivelazioni', il 21 dicembre 2012 sarebbe per i maya il giorno della fine del mondo.

LA SCOPERTA DI ALDANA - Ma c’è di più. Nuovi studi propongono nuove letture della profezia apocalittica dei maya. Un nuovo studio, effettuato dal professor Gerardo Aldana dell’università di Santa Barbara in California, sposterebbe la data profetica del 21 dicembre 2012 di 50 o anche 100 anni. Lo spiega in un capitolo del suo nuovo libro, Calendars and Years II: Astronomy and Time in the Ancient and Medieval World", Aldana pone dubbi sul modo in cui fino a oggi il calendario maya è stato convertito con il nostro calendario gregoriano.

LA COSTANTE GMT - Aldana ha trovato diversi punti deboli negli studi di Lounsbury. Altri le avevano trovate in precedenza, ma, dice Aldana, senza formulare perché l’intero sistema GMT è sbagliato in partenza, era impossibile darne una visione chiara. L’ipotesi del GMT dunque "cadrebbe come cade un castello di carte". Secondo il ricercatore alcuni degli eventi riportati dai maya sarebbero sbagliati: "In un documento si è trovato che il re maya Balaj Chan K'awiil scelse la data per una battaglia vedendo sorgere un astro chiamato Chak Ek- dice Aldana. - Gli studiosi moderni ritengono che sia Venere, ma secondo i miei calcoli è più probabile che fosse un meteorite, quindi l'uso di questa data per la costante ha generato un errore''. Aldana presenta altri casi dubbi che lui ha risolto: i calcoli sulla fine del mondo risultano sbagliati di un periodo minimo di due mesi, anche se secondo il ricercatore è possibile che l'errore sia di decenni o addirittura di un secolo.

QUANDO FINIRA’ IL MONDO? - Aldana ci lascia tutti però sul più bello, e con il fiato sospeso: "Non ho alcuna idea di quando il mondo finirà, ho preferito concentrarmi a spiegare perché il calcolo GMT è sbagliato". La data secondo cui i maya ipotizzano la fine del mondo dovrebbe essere posposta di circa 100 anni. Messo alle strette però, un calcolo preciso Aldana lo avrebbe fatto: il mondo finirà il 21 febbraio 2013. A questo punto, i catastrofisti di tutto il mondo è meglio si cerchino un altro antico calendario su cui calcolare quando finirà questo povero vecchio mondo.

Provate a risolvere questo problema...

domenica 24 ottobre 2010
Ti trovi al volante della tua auto e circoli ad una velocità
costante.

Alla tua destra c'è un precipizio.

Alla tua sinistra un camion dei pompieri che viaggia
esattamente alla tua stessa velocità.

Davanti a te corre un maiale visibilmente più grande della
tua macchina.

Davanti al maiale corre un uccello grande quanto il maiale
che, ovviamente, corre alla stessa velocità del maiale.

Dietro di te, invece, segue un elicottero che vola raso terra.
Gli ultimi due, sono due cavalli che trainano un calesse.

Tutti i veicoli/animali citati corrono alla stessa velocità
e nessuno può cambiarla, per ognuno la velocità deve restare
costante fino all'attimo precedente l'arresto.

Domanda:

COME FAI PER FERMARTI SENZA ESSERE INVESTITO, SENZA
INVESTIRE E SANZA CASCARE NEL PRECIPIZIO?


LA RISPOSTA SI TROVA SOTTO, NON GUARDARE PRIMA
DI AVERE PROSPOSTO UNA SOLUZIONE ILLUMINANTE.
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RISPOSTA: ASPETTI CHE SI FERMA LA GIOSTRA.

"Immagination is more important than knowledge"

A. Einstein (1936)

Ignoti le svaligiano casa su Facebook

sabato 23 ottobre 2010
È successo nell'ambito dell'applicazione Pet society legata al noto social network. Aperta indagine contro i soliti ignoti


Sabato 23-10-2010 - Una casetta piccina piccina in… Facebook. Quella della signora Paola Letizia, 44 anni di Palermo, che se l'era costruita e arredata con cura, scegliendo mobili di marca, accessori trendy e arredamenti all'ultimo grido. Era il suo rifugio virtuale, molto più reale però di quanto si potrebbe pensare. Dato che qualche "simpaticone" ha deciso di farle una tirata letteralmente svaligiando l'abitazione virtuale. Tanto che la signora Paola Letizia ha sporto denuncia alla Procura di Palermo, che ha aperto un'indagine contro l'ignoto ladro del Web 2.0.

L'impiegata del Pra (Pubblico registro automobilistico) di Palermo aveva dedicato parecchio tempo ad arredare la sua magione in Pet society, una delle applicazioni più famose legate a Facebook. Il social network si era trasformato in una sorta di città nella quale si era aperta un appartamento al quale si era dedicata con appassionati shopping di mobilio e suppellettili di marca. Sono bastati pochi minuti di un burlone che si è addentrata nell'abitazione virtuale e l'ha svuotata, portandosi via anche l'acquario, le tende, i tappeti e qualsiasi altro oggetto fosse presente.

La denuncia è partita dopo la inevitabile disperazione iniziale: la Polizia postale si è trovata così a indagare seguendo le tracce digitali lasciati dal pirata. E la vicenda ha già un risvolto legale forse sottovalutato dal sedicente hacker: lo svuotamento delle sette stanze, con tanto di gatto (dal nome Blue Cat e che è rimasto da solo in casa), è reato. Anche se si parla di muri fatti di bit e non di cemento.

Il gip Fernando Sestito ha disposto le indagini per "introduzione abusiva e aggravata", secondo l'art. 615 del codice penale che prevede la detenzione da uno a cinque anni. Insomma, siamo di fronte a un vero e proprio furto e la vittima Paola Letizia chiede l'inevitabile risarcimento. E l'incauto bandito potrebbe ritrovarsi con una pena forse più grave di quel che avrebbe potuto pensare...

Verso l'infinito e oltre! Basta un Iphone!!!

martedì 19 ottobre 2010
In fondo, si tratta della variante di un passatempo antico: anziché far volare un aquilone Luke Geissbuhler e suo figlio Max, di sette anni, hanno deciso di far volare fin nello spazio un iPhone e una videocamera HD.


Allo scopo hanno utilizzato un pallone sonda, sapendo che dopo un certo tempo avrebbe ceduto e permesso, così, di recuperare l'attrezzatura.
L'idea di fondo prevedeva infatti di utilizzare la videocamera per effettuare delle riprese della stratosfera e il modulo GPS dell'iPhone per avere le coordinate necessarie al recupero: durante il "rientro" un paracadute avrebbe provveduto a evitare lo schianto della sonda amatoriale.
In questo modo i Geissbuhler sono riusciti a realizzare un filmato di circa 100 minuti, arrivando a un'altitudine massima di 35.700 metri.

I resti della missione sono stati recuperati a 30 miglia (poco meno di 50 Km) dal punto di partenza; l'individuazione è stata possibile non solo grazie al GPS ma anche tramite il LED dell'iPhone che, nella notte, ha guidato Luke Geissbuhler e suo figlio.

Il video qua sotto mostra il risultato del primo volo spaziale dell'iPhone.

Land Grabbing: il nuovo strisciante colonialismo del “secondo mondo”

lunedì 18 ottobre 2010

Il termine “Land Grabbing” tecnicamente significa “appropriazione di terreni” ed è la nuova forma di colonialismo che si basa sull’affitto e, qualche volta, sull’acquisto di grandi appezzamenti di terreni in Africa e, in forma minore, in Sud America, una formula tanto in voga nei paesi emergenti. Niente a che fare quindi con il “vecchio” colonialismo quando il “primo mondo” (l’occidente) si mangiava tutto. E’ il “secondo mondo” che si sta mangiando il “terzo mondo”.
A dare il via al Land Grabbing è stata l’Araba Saudita. Il re Abdullah, sovrano assoluto d’Arabia, a un certo punto si è accorto che il petrolio portava miliardi di dollari ma che in tutto il suo immenso regno galleggiante su un mare di greggio non c’era un solo angolo di terra che producesse qualcosa da mangiare per sfamare i suoi sudditi. Fu allora che decise di usare i petrodollari per acquistare migliaia di ettari di terreno in Etiopia dove coltivare riso e cereali a buon prezzo per le esigenze del suo regno. Visto che la cosa funzionava ha cercato di comprare altri terreni da altre parti. Non riuscendoci ha ripiegato sulla locazione prendendo in affitto immensi appezzamenti di terreno in Zambia e in Tanzania.
La cosa non poteva certo sfuggire ai cinesi, sempre in cerca di risorse alimentari (a causa degli elevati indici di crescita demografica) e minerarie (per sostenere la fame di energia della economia cinese). Pechino ha quindi dato il via a un vero e proprio rastrellamento di terreni su scala mondiale. 80.400 ettari di terra acquistati in Russia, 43.000 in Australia, 70.000 in Laos, 7.000 in Kazakhstan, 5.000 a Cuba, 1.050 in Messico. Ma il boom Pechino lo ha fatto in Africa. 2.800.000 ettari in Congo, 2.000.000 di ettari in Zambia, 10.000 in Camerun, 4.046 in Uganda e solo 300 ettari (ma siamo all’inizio) in Tanzania. Dove Pechino non può acquistare…. affitta. Migliaia di ettari in Algeria, in Mauritania, in Angola e in Botswana. Il bello è che i terreni non vengono solo coltivati ma forniscono anche immense risorse minerarie che chiaramente Pechino sfrutta a man bassa senza alcun ritorno per le popolazioni locali.
Se la Cina si è mossa subito dopo l’Arabia non da meno è stata un’altra potenza emergente: l’India. Usando lo stesso sistema cinese (avendo le stesse esigenze) Nuova Delhi ha iniziato a comprare terreni a destra e a manca. 50.000 ettari in Laos, 69.000 in Indonesia, 10.000 in Paraguay, 10.000 anche in Uruguay. Ma il grosso degli affari gli indiani gli hanno fatti in Argentina dove hanno acquistato 614.000 ettari di terreno, in Etiopia (370.000 ettari), in Madagascar (232.000 ettari) e in Malesia (289.000 ettari).
Dietro a questi colossi si muovono i più piccoli. La Corea del Sud (attraverso le multinazionali Daewoo e Hyundai) sta comprando terreni in tutta l’Africa. Qatar, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e, naturalmente, Arabia Saudita usano i petrodollari per acquistare centinaia di migliaia di ettari di terreno fertile in Africa e in Sud America. La Libia ha barattato un contratto di fornitura di gas all’Ucraina in cambio di 247.000 ettari di terreno. Non mancano infine le solite multinazionali del “primo mondo”, in prevalenza industrie alimentari ma anche industrie minerarie.
A proposito di sfruttamento delle risorse minerarie, fino a pochi anni fa comandavano europei e americani. Oggi la cosa è radicalmente cambiata. E’ ancora una volta la Cina a farla da padrone. Pechino, attraverso l’acquisto o l’affitto delle concessioni controlla buona parte del mercato di rame (90 miliardi di dollari), di alluminio (69 miliardi di dollari), di zinco (20 miliardi di dollari) e di nickel (22 miliardi di dollari). Che dire poi del petrolio? Sudan, Ciad, Congo, RDC Congo, Repubblica Centrafricana e Angola sono praticamente monopolizzati dalla CNPC (China National Petroleum Corporation) e dalle sue sorelle.
E l’espansione continua. Pechino e Nuova Delhi stanno trattando l’acquisto o l’affitto di milioni di ettari di terreno e di migliaia di concessioni per l’estrazione di materie prime in tutto il mondo. Dietro a loro ci sono i paesi arabi e, infine, le economie emergenti orientali tra le quali spicca, unica “vecchia” conoscenza il Giappone che negli ultimi mesi si sta attrezzando.
Il problema principale del “Land Grabbing” non è tanto il fatto che milioni di ettari di terra vengano sfruttati per l’agricoltura o per l’estrazione delle risorse, quanto piuttosto che questo sistema non incide minimamente nello sviluppo dei paesi dove viene praticato. Nemmeno sotto l’aspetto occupazionale ha una incidenza rilevante in quanto sia cinesi che indiani tendono a usare loro connazionali per il lavoro sulla terra. La Cina addirittura usa decine di migliaia di carcerati per lavorare la terra. I prodotti coltivati o estratti non vanno ad arricchire il mercato locale o ad alzare il prodotto interno lordo di quei paesi perché vengono immediatamente “assimilati” dai mercati interni cinese e indiano. Non esiste cioè un mercato cosiddetto di “esportazione”. E’ come se fossero prodotti in Cina o in India piuttosto che in Africa o da qualsiasi altra parte dove viene praticato il Land Grabbing. Insomma, è una vera e propria forma di sfruttamento delle risorse locali, sia alimentari che minerarie.
Negli ultimi mesi l’Unione Africana sta cercando di combattere il fenomeno del Land Grabbing, purtroppo con scarsi risultati. Ha invitato tutti gli Stati aderenti all’Unione a non vendere o affittare terreni ad altri Stati incentivando per quanto possibile gli investimenti nel settore agricolo e minerario, ma troppo spesso i governanti corrotti si fanno “convincere” a cedere immensi latifondi in cambio di cifre che, seppur notevoli se prese singolarmente, sono irrisorie rispetto al reale valore delle terre, senza considerare poi la totale perdita di controllo su quei terreni ceduti.
Il Land Grapping è una forma di colonialismo strisciante perché lascia l’impressione a chi osserva da fuori che gli Stati abbiano la completa gestione del territorio e delle sue risorse reali o potenziali, quando invece non è così. La nostra associazione insieme ad altre realtà (sia locali che internazionali) sta iniziando in questi giorni una campagna di sensibilizzazione chiamata “my land is mine” per sensibilizzare i Governi e le popolazioni coinvolte nel Land Grabbing sui rischi che comporta la cessione di immensi latifondi a Governi esterni e, nel contempo, sulle potenzialità di sviluppo derivanti dallo sfruttamento locale di dette terre e risorse. My land is mine si va a collocare a tutti gli effetti nel progetto multidimensionale “Haven” del quale trovate le linee guida qui di seguito.

A chi dare gli aiuti Pac?

lunedì 11 ottobre 2010
Può un ettaro adibito a campo da golf, o un esclusivo circolo di equitazione, beneficiare di un aiuto comunitario al pari di un’azienda agricola? O ancora, saranno giustificabili in futuro differenziali di premio basati su produzioni e rese del triennio 2000-2002 o anche lo stesso importo erogato tanto a chi vive di sola agricoltura quanto a chi dai campi ricava solo un reddito secondario, o addirittura irrilevante? Dare i premi della Politica agricola comunitaria solo alle vere imprese è l’obiettivo (non nuovo) che si prefigge un articolo dell’ultima riforma Pac, lasciando però la scelta (come capita sempre più spesso) agli Stati membri. E l’Italia, a sentire le ultime dichiarazioni del ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, intende raccogliere questa sfida.

«Una delle battaglie che prima o poi riusciremo a vincere in Europa – ha detto nei giorni scorsi Zaia – è quella di fare arrivare il denaro agli agricoltori visto che oggi il 70% delle risorse europee va a chi non vive veramente di agricoltura. I soldi devono andare ai contadini veri». Ancora più esplicito era stato il sottosegretario alle Politiche agricole, Antonio Buonfiglio, affermando, in occasione della conferenza economica della Cia a Lecce, che «occorre che le politiche di sostegno imparino a distinguere tra chi è imprenditore agricolo e chi percepisce un contributo agricolo». Ricordando proprio la possibilità concessa agli Stati membri dall’ultima riforma Pac di decidere, a partire dal prossimo anno, che i contributi comunitari siano riservati ai soli imprenditori agricoli a titolo principale. Una scelta che secondo Buonfiglio garantirebbe all’Italia un miliardo di euro in più per politiche nazionali di settore. Lo strumento per mettere in pratica le indicazioni manifestate dal ministro Zaia e dal sottosegretario Buonfiglio è l’articolo 28 del regolamento 73/2009 dell’ultima riforma comunitaria sui «requisiti minimi per il percepimento degli aiuti diretti ». Si tratta dell’articolo che contiene, al primo paragrafo, l’indicazione della soglia dei 100 euro annui elevabile a discrezione degli Stati membri. Il secondo paragrafo della norma in questione prevede che, a partire dal 2010, gli Stati membri possono stabilire «adeguati criteri oggettivi e non discriminatori per garantire che non siano concessi pagamenti diretti a una persona fisica o giuridica: le cui attività agricole costituiscano solo una parte irrilevante delle sue attività economiche globali; o la cui attività principale o il cui obiettivo sociale non sia l’esercizio di un’attività agricola». Secondo lo stesso regolamento comunitario poi, i diritti all’aiuto che non danno luogo a pagamenti per due anni consecutivi in seguito all’applicazione della soglia minima o dei «criteri oggettivi» citati sopra per l’esclusione di alcune aziende dal sistema dei pagamenti, sono riversati nella riserva nazionale.

Così gli Stati membri della Ue, in applicazione dell’articolo, possono decidere di stabilire dal prossimo anno attraverso criteri oggettivi quali siano le «vere » imprese agricole da continuare a premiare con gli incentivi comunitari e quali invece escludere dal sistema dei pagamenti diretti. Altro che disaccoppiamento o erosione degli aiuti da modulazione o articolo 68. Una rivoluzione potenziale ancora più ampia di quelle introdotte a suon di riforme da Agenda 2000 fino all’Health check, passando per la riforma Fischler e il disaccoppiamento. Un principio, quello di riservare gli aiuti Pac solo alle vere imprese, sul quale in teoria sono tutti d’accordo ma che nella pratica resta molto difficile da declinare. Parte dei 54 miliardi di euro annui del bilancio agricolo comunitario, dei quali circa sei riservati all’agricoltura italiana, finiscono spesso dispersi in aiuti e misure con obiettivi non agricoli. Una parte di questo problema riguarda anche la nuova politica di sviluppo rurale. Ma il cuore restano le inefficienze del sistema dei pagamenti diretti.

Un problema, quello della dispersione dei finanziamenti verso rivoli non agricoli, che la Commissione europea, nel tempo, ha provato ad affrontare in molti modi. Il più evidente è quello dell’introduzione di una soglia minima, economica o dimensionale, per poter accedere ai premi Pac. Resa finalmente obbligatoria con l’ultima riforma della Pac, la cosiddetta «verifica dello stato di salute» varata alla fine dello scorso anno e appena entrata in vigore. Dopo un lungo dibattito che ha visto anche l’intervento degli europarlamentari italiani per evitare una soglia minima obbligatoria per tutti di 250 euro (come proposto inizialmente da Bruxelles), il requisito minimo per poter beneficiare degli aiuti Pac è stato fissato a 100 euro. Una soglia già introdotta in Italia dall’ex ministro delle Politiche agricole, Paolo De Castro (oggi alla guida della commissione Agricoltura del Parlamento europeo), gradualmente, in due anni, e scattata definitivamente nel 2008. Escludendo così definitivamente dal sistema dei pagamenti diretti oltre 140mila aziende agricole italiane.

Ma oltre al requisito minimo obbligatorio dei 100 euro annui, a discrezione degli Stati membri si potranno introdurre soglie più elevate, parametrate sulle diverse realtà dei 27 partner.
 Per l’Italia, la soglia economica è fissata a 400 euro annui, mentre quella dimensionale è compresa tra 0,5 e 1 ettaro di superficie aziendale. Scaduto lo scorso 31 luglio il primo termine utile per decidere di elevare la soglia minima per accedere ai premi Pac, l’Italia può ancora decidere di attuare questa opzione. Si tratta di strumenti per alleggerire la burocrazia agricola e correggere storture e inefficienze del nuovo sistema dei pagamenti diretti. Tra le quali vale la pena ricordare quelle rilevate dalla Corte dei conti Ue all’indomani dell’entrata in vigore del disaccoppiamento e – per i Paesi che hanno scelto questa opzione – della regionalizzazione, con aiuti agricoli comunitari finiti a circoli di equitazione, campi da golf e scarpate ferroviarie.

Vodafone porta la banda larga nei piccoli comuni

giovedì 7 ottobre 2010
L'operatore telefonico si preoccupa di investire per la banda larga mobile anche nei piccoli centri.

Banda larga sempre più veloce, ma non solo nelle grandi città, che aumenta il digital divide fra i cittadini: con il nuovo piano di investimenti appena annunciato, Vodafone si preoccupa anche delle realtà periferiche.
Tale piano mostra ancora più chiaramente come i singoli operatori, svanita la possibilità (almeno in tempi brevi) di creare un'unica società per lo sviluppo della banda larga, andranno ognuno per la propria strada secondo strategie e risorse diverse.
Oggi la rete di Vodafone è dotata di tecnologia HSDPA a 14,4 Mbit/s nella quasi totalità della rete mobile di terza generazione e, con il servizio HSPA+ già avviato nelle grandi città, raggiungerà i 21,6 e anche i 28,8 Mbit/s, con la previsione di arrivare a 42 Mbit/s entro il 2011 e a 84 Mbit/s nel 2012.
Nell'ambito di questo piano di investimenti Vodafone ha lanciato il progetto 1.000 Comuni per coprire, a partire da gennaio 2011,almeno un comune al giorno nei prossimi tre anni (fino a un totale di mille) con un collegamento a 2 Mbit/s e privilegiando quelli totalmente privi di accesso in banda larga.
Allo stand della Panasonic al Ceatec di Tokyo, abbiamo potuto ammirare il futuro modello di telefono cellulare della casa di Osaka: il Lumix. Il nome vi farà pensare più a una fotocamera, che a un cellulare: e infatti questo Lumix, più che un telefono con fotocamera, è una fotocamera con telefono: è dotato di obiettivo da ben 13.2 MegaPixel, in aggiunta a tutte le varie funzioni tipiche delle fotocamere quali Flash ad alta intensità, Autofocus, Zoom e funzionalità di videocamera.
Dall’esterno sembra più una normalissima fotocamera digitale, ma è possibile far scorrere il display per estrarre il tastierino numerico e utilizzare le funzionalità di telefonia. Ovviamente dotato di schermo touchscreen, sistema operativo Android, e connettività Wi-Fi per trasferire in tempo reale le foto, questa Lumix arriverà i quattro colori: blu, rosa, nero e oro. E’ certamente una scelta originale, quella di unire i due dispositivi più usati in mobilità, e forse questa può essere una mossa azzeccata; vedremo come risponderà il mercato.
Rimanete sintonizzati per maggiori informazioni, per ora si sa solo che verrà lanciato in Giappone a marzoa un prezzo ufficiale di 600 dollari (che pero' nei negozi nipponici diventeranno non più di 100 grazie agli accordi con le ditte locali di telefonia mobile).


lumix mobile 2

Orchidee per Rosy Bindi

lunedì 4 ottobre 2010