Torti e ragioni di Bernabè sull'asta delle frequenze

giovedì 26 maggio 2011


Bernabè lamenta gli eccessivi costi dell'asta per l'assegnazione delle frequenze ma non assume impegni forti contro il digital divide.


Bernabè asta frequenze
Franco Bernabè, presidente di Telecom Italia con pieni poteri per le strategie e i rapporti con le istituzioni, ha preso carta e penna.

Ha scritto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e ai ministri Romani e Tremonti per criticare in maniera decisa l'approccio governativo alla gara per l'assegnazione delle frequenze lasciate libere dalle TV private dopo l'avvio del digitale terrestre.
«Troppe risorse che vengono sottratte ai gestori» dice Bernabè, questa volta in accordo perfetto con i propri concorrenti che, attraverso l'organizzazione confindustriale del settore, l'Asstel, hanno dato lo stesso giudizio di eccessiva onerosità di una gara in cui Tremonti cerca di far cassa il più possibile.

Troppi soldi dati allo Stato che, invece, non fa nulla per né abbattere il digital divide che tocca ancora zone importanti del Paese, né comunque per colmare il gap in termini di accesso alla Rete che separa l'Italia dai Paesi di punta della UE, dagli Usa e dal Giappone.
Come dare torto a Bernabè? Ancora una volta sembra che la politica sia sorda e cieca di fronte alle esigenze dell'innovazione digitale.
Il punto debole del ragionamento di Bernabè è tuttavia questo: non propone uno "scambio virtuoso" in cui i gestori possono spendere il meno possibile per avere le licenze ma in cambio devono impegnarsi a una diffusione della banda larga non orientata unicamente dalle esigenze di redditività forte e a breve termine.
Sono queste esigenze che spingono i gestori, anche Telecom Italia, a concentrare gli investimenti nelle aree già privilegiate. Senza lo scambio allora è giusto che anche lo Stato pensi a massimizzare i profitti.

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