Land Grabbing: il nuovo strisciante colonialismo del “secondo mondo”

lunedì 18 ottobre 2010

Il termine “Land Grabbing” tecnicamente significa “appropriazione di terreni” ed è la nuova forma di colonialismo che si basa sull’affitto e, qualche volta, sull’acquisto di grandi appezzamenti di terreni in Africa e, in forma minore, in Sud America, una formula tanto in voga nei paesi emergenti. Niente a che fare quindi con il “vecchio” colonialismo quando il “primo mondo” (l’occidente) si mangiava tutto. E’ il “secondo mondo” che si sta mangiando il “terzo mondo”.
A dare il via al Land Grabbing è stata l’Araba Saudita. Il re Abdullah, sovrano assoluto d’Arabia, a un certo punto si è accorto che il petrolio portava miliardi di dollari ma che in tutto il suo immenso regno galleggiante su un mare di greggio non c’era un solo angolo di terra che producesse qualcosa da mangiare per sfamare i suoi sudditi. Fu allora che decise di usare i petrodollari per acquistare migliaia di ettari di terreno in Etiopia dove coltivare riso e cereali a buon prezzo per le esigenze del suo regno. Visto che la cosa funzionava ha cercato di comprare altri terreni da altre parti. Non riuscendoci ha ripiegato sulla locazione prendendo in affitto immensi appezzamenti di terreno in Zambia e in Tanzania.
La cosa non poteva certo sfuggire ai cinesi, sempre in cerca di risorse alimentari (a causa degli elevati indici di crescita demografica) e minerarie (per sostenere la fame di energia della economia cinese). Pechino ha quindi dato il via a un vero e proprio rastrellamento di terreni su scala mondiale. 80.400 ettari di terra acquistati in Russia, 43.000 in Australia, 70.000 in Laos, 7.000 in Kazakhstan, 5.000 a Cuba, 1.050 in Messico. Ma il boom Pechino lo ha fatto in Africa. 2.800.000 ettari in Congo, 2.000.000 di ettari in Zambia, 10.000 in Camerun, 4.046 in Uganda e solo 300 ettari (ma siamo all’inizio) in Tanzania. Dove Pechino non può acquistare…. affitta. Migliaia di ettari in Algeria, in Mauritania, in Angola e in Botswana. Il bello è che i terreni non vengono solo coltivati ma forniscono anche immense risorse minerarie che chiaramente Pechino sfrutta a man bassa senza alcun ritorno per le popolazioni locali.
Se la Cina si è mossa subito dopo l’Arabia non da meno è stata un’altra potenza emergente: l’India. Usando lo stesso sistema cinese (avendo le stesse esigenze) Nuova Delhi ha iniziato a comprare terreni a destra e a manca. 50.000 ettari in Laos, 69.000 in Indonesia, 10.000 in Paraguay, 10.000 anche in Uruguay. Ma il grosso degli affari gli indiani gli hanno fatti in Argentina dove hanno acquistato 614.000 ettari di terreno, in Etiopia (370.000 ettari), in Madagascar (232.000 ettari) e in Malesia (289.000 ettari).
Dietro a questi colossi si muovono i più piccoli. La Corea del Sud (attraverso le multinazionali Daewoo e Hyundai) sta comprando terreni in tutta l’Africa. Qatar, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e, naturalmente, Arabia Saudita usano i petrodollari per acquistare centinaia di migliaia di ettari di terreno fertile in Africa e in Sud America. La Libia ha barattato un contratto di fornitura di gas all’Ucraina in cambio di 247.000 ettari di terreno. Non mancano infine le solite multinazionali del “primo mondo”, in prevalenza industrie alimentari ma anche industrie minerarie.
A proposito di sfruttamento delle risorse minerarie, fino a pochi anni fa comandavano europei e americani. Oggi la cosa è radicalmente cambiata. E’ ancora una volta la Cina a farla da padrone. Pechino, attraverso l’acquisto o l’affitto delle concessioni controlla buona parte del mercato di rame (90 miliardi di dollari), di alluminio (69 miliardi di dollari), di zinco (20 miliardi di dollari) e di nickel (22 miliardi di dollari). Che dire poi del petrolio? Sudan, Ciad, Congo, RDC Congo, Repubblica Centrafricana e Angola sono praticamente monopolizzati dalla CNPC (China National Petroleum Corporation) e dalle sue sorelle.
E l’espansione continua. Pechino e Nuova Delhi stanno trattando l’acquisto o l’affitto di milioni di ettari di terreno e di migliaia di concessioni per l’estrazione di materie prime in tutto il mondo. Dietro a loro ci sono i paesi arabi e, infine, le economie emergenti orientali tra le quali spicca, unica “vecchia” conoscenza il Giappone che negli ultimi mesi si sta attrezzando.
Il problema principale del “Land Grabbing” non è tanto il fatto che milioni di ettari di terra vengano sfruttati per l’agricoltura o per l’estrazione delle risorse, quanto piuttosto che questo sistema non incide minimamente nello sviluppo dei paesi dove viene praticato. Nemmeno sotto l’aspetto occupazionale ha una incidenza rilevante in quanto sia cinesi che indiani tendono a usare loro connazionali per il lavoro sulla terra. La Cina addirittura usa decine di migliaia di carcerati per lavorare la terra. I prodotti coltivati o estratti non vanno ad arricchire il mercato locale o ad alzare il prodotto interno lordo di quei paesi perché vengono immediatamente “assimilati” dai mercati interni cinese e indiano. Non esiste cioè un mercato cosiddetto di “esportazione”. E’ come se fossero prodotti in Cina o in India piuttosto che in Africa o da qualsiasi altra parte dove viene praticato il Land Grabbing. Insomma, è una vera e propria forma di sfruttamento delle risorse locali, sia alimentari che minerarie.
Negli ultimi mesi l’Unione Africana sta cercando di combattere il fenomeno del Land Grabbing, purtroppo con scarsi risultati. Ha invitato tutti gli Stati aderenti all’Unione a non vendere o affittare terreni ad altri Stati incentivando per quanto possibile gli investimenti nel settore agricolo e minerario, ma troppo spesso i governanti corrotti si fanno “convincere” a cedere immensi latifondi in cambio di cifre che, seppur notevoli se prese singolarmente, sono irrisorie rispetto al reale valore delle terre, senza considerare poi la totale perdita di controllo su quei terreni ceduti.
Il Land Grapping è una forma di colonialismo strisciante perché lascia l’impressione a chi osserva da fuori che gli Stati abbiano la completa gestione del territorio e delle sue risorse reali o potenziali, quando invece non è così. La nostra associazione insieme ad altre realtà (sia locali che internazionali) sta iniziando in questi giorni una campagna di sensibilizzazione chiamata “my land is mine” per sensibilizzare i Governi e le popolazioni coinvolte nel Land Grabbing sui rischi che comporta la cessione di immensi latifondi a Governi esterni e, nel contempo, sulle potenzialità di sviluppo derivanti dallo sfruttamento locale di dette terre e risorse. My land is mine si va a collocare a tutti gli effetti nel progetto multidimensionale “Haven” del quale trovate le linee guida qui di seguito.

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